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EDO FUNAJOLI

 

        Edo Funajoli nacque il 16-9-1891. Il padre era maestro, uno dei fondatori dell’Alpina delle Giulie, e noto, anche in campo internazionale, per la sua appas-sionata conoscenza della botanica: Edoardo Tautscher, che, insieme con il figlio, cambiò il proprio nome nel 1931, affermando che l’etichetta doveva corrispondere al vino contenuto nella bottiglia.

        Il giovane Edo, dopo alcuni anni di «Scuole Reali», passò all’Istituto magistrale di Capodistria, nel quale si diplomò nel 1911. Fu subito insegnante nelle scuole elementari di via Donadoni a Trieste, e nello stesso tempo diede gratuitamente la propria opera al vicino ricreatorio Padovan, occupandosi di filodrammatica e di escursionismo.

        Nel dicembre del 1915, mentre si recava a scuola, fu fermato --- e la madre di chi scrive, giovane maestra nello stesso istituto, vide la scena --- dalla polizia perché sospettato d’attività antigovernativa. Il processo, la cui  sentenza poteva comportare la pena di morte, iniziato davanti al Tribunale militare, fu aggiornato alla fine della guerra. Intanto l’incriminato fu mandato nei campi d’internamento austriaci ove ebbe ancora modo di manifestare il suo spirito opponendosi alla sot-toscrizione per il prestito di guerra austriaco. In quei campi rimase fino all’aprile del 1917, quando -- avendoli Carlo I soppressi -- riebbe, insieme con i compagni, una parziale libertà, che gli consentì di scegliere una sede di soggiorno purché non fosse Trieste. Recatosi a Vienna riuscì a trovare un lavoro di contabile alla Siemens Suckert Werke. Nell’agosto del 1918, con l’artificio della residenza a Rozzol, poté rientrare nella città natale, dove collaborò con il Comitato di salute pubblica.

        La pace lo restituì all’insegnamento nelle «Scuole Cittadine» di via Panni e nel 1920 superò l’esame d’abilitazione per l’insegnamento in quei tipo di scuole; quindi, fu ammesso, per esami, ad un corso biennale di vigilanza scolastica a Firenze, dopo il quale, nel 1922, riprese la propria attività.

            Da qualche tempo aveva «scoperto» Giovanni Gentile, e la passione per gli studi, per la storia, per la filosofia e in particolare per la pedagogia, io sollecitava sempre più. Nel 1924 vinse un concorso per una «missione» riservata ad insegnanti di ruolo che conservavano posto e stipendio per un corso biennale all’Istituto superiore di magistero di Firenze: e non tutta la decina di posti fu coperta. A Firenze, che, come tutta la Toscana, gli rimase sempre nel cuore, seguì le lezioni del Salvemini, del Rodolico, del De Sano, di Giorgio Pasquali, di Ernesto Codi-gnola, con il quale si laureò con una tesi su Pier Paolo Vergerio il vecchio, e una

  

 

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tesina sul Comenio, che non volle pubblicare, nonostante l’offerta del Codignola, perché non aveva potuto consultare alcuni documenti.

        Ritornato a Trieste, fu direttore reggente del Circolo didattico di San Viro; e nel 1928 si sposò con la signorina Anita Buttazzoni.

        Nel 1929 e nel 1930 fu incaricato dal Ministero dell’educazione nazionale di organizzare e dirigere un corso estivo da svolgere in due anni, per insegnanti nelle scuole materne, corso che ebbe anche la partecipazione di Rosa Agazzi. Nel 1930-1931 gli fu affidata la reggenza del Circolo didattico Nazario Sauro e nello stesso 1931 conseguì l’abilitazione per l’insegnamento della storia e della filosofia. Nel 1933 fu incaricato dal Comune di Trieste d’istituire le scuole d’avviamento professionale, nelle quali, assunte dallo Stato, fu insegnante dal 1934; in quel periodo par- tecipò brillantemente a più corsi d’informazione industriale, commerciale ed agricola.

        Nel 1937 vinse il concorso per cattedre di storia e filosofia: fu assegnato al liceo classico di Treviso e l’anno successivo passò al liceo classico «Petrarca» di Trieste, nel quale rimase fino al pensionamento nel 1957, con una breve assenza a causa delle vicende belliche e postbelliche. Alla fine degli anni ‘30 fu anche assi-stente di storia moderna del prof. Giorgio  Roletto,  illustre docente dell’Università di Trieste, che, ordinario di geografia, aveva anche attivato il nuovo insegnamento.

        Fu per lunghi anni sodale della Società di Minerva, e molti furono i suoi inter-venti in quella sede, fra cui,  notevolissima, nel 1948, la stesura  della relazione di base sulla riforma della scuola italiana, discussa in dieci tornate del sodalizio culturale triestino, in risposta ad un questionar]o ministeriale, e tale da essere considerata ottima, dalla commissione esaminatrice, fra tutte quelle presentate in Italia.

        Cessò di vivere il 7 gennaio 1980, dopo che una lunga malattia l’aveva già da tempo sottratto agli amici.

        Edo Funajoli non fu eccessivamente prolifico nelle pubblicazioni, tuttavia ha lasciato una certa produzione, spesso legata a particolari occasioni più che ad una deliberata continuità, anche se il filo dell’intima coerenza non si rompe mai.

        A parte la sua collaborazione con l’enciclopedia dell’Hoepli, di lui conosciamo innanzitutto due opuscoli: Cenni di pedagogia fascista (Trieste,1936) e Conversa-zioni pedagogiche tenute ai maestri delle colonie estive del PNF di Trieste (Trie-ste, 1937). In essi si ritrovano le due matrici della sua milizia pedagogica, il pen-siero teorico d’ispirazione idealista gentiliana e la viva esperienza pratica dell’inse-gnante attento e preparato.  L’aggettivazione e l’impostazione politica, apparente ed appariscente, è bilanciata o, meglio, interpretata con la frequente presenza della parola «libertà», e con il profondo concetto che essa — che non è arbitrio —  implica: è sintomatico, per capire l’adesione del Funajoli al fascismo, osservare, nella prima delle due operette, come l’A. costruisca le sue lezioni partendo dal motto mussoliniano del «credere, obbedire, combattere», inteso come «fede», mo-mento categorico dello spirito umano della «certezza» e della «verità», della sicu-rezza di sé;  come «disciplina»  —- non supinità —-  o meglio  «autodisciplina», sin-

 

 

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tesi pratica di libertà e di autorità e non di licenza e di tirannide; e come «azione», cioè superamento dell’ostacolo in noi e fuori di noi: interpretazioni di chiara motivazione idealista.

        Notevole scalpore, anche all’estero, suscitò un suo breve articolo su uno dei primi numeri della rivista  «Geopolitica»  ( A. I, n. 2,  febbr. 1938 (?),  pp. 91-95 );  La geopolitica e la sua legittimità di scienza, nella quale impugna i criteri del-l’Haushofer, padre della disciplina, «fortemente preoccupato di piegare fenomeni territoriali e leggi geografiche a giustificare nazionalisticamente il bisogno di ricon-quista e di rigenerazione nazionale tedesca nell’immediato dopoguerra», e quello del Febvre della scuola francese, pur più vicino all’intendimento italiano, perché entrambi antistoricistici, anzi antistorici, l’uno perché determinista e utilitaristico, l’altro perché con il suo «possibilismo» si limita a porre la nuova specialità, come mera attività classificatoria anch’essa empirica e utilitaristica. Di fronte ad esse l’at-teggiamento della «scuola» italiana, anzi triestina, che la vede, vichianamente, co-me processo storico: «una delle infinite mediazioni per cui l’umanità si libera dal-l’immediatezza della fisi,  per affermarsi, a traverso un diuturno travaglio, nella realtà suprema dello spirito celebrato qui come volontà autocosciente», onde l’at-tuarsi della geopolitica come filosofia della geografia,  filosofia non dell’assoluto, del «vero», ma — come ogni scienza — del «certo», del «dogma» come oggetto presupposto, ma del dogma umano e perciò storia e momento del pensiero umano: non la geografia e la sua scienza determinanti la storia, ma, all’opposto la storia creatrice della scienza geografica.

        Nel I  volume degli  «Scritti inediti»  di Domenico Rossetti,  pubblicati a cura del Municipio di Trieste nel centenario della morte  (Udine, 1944),  apparve una sua lunga introduzione (pp. 511-548) agli scritti d’estetica: approfondito esame del processo di formazione delle idee estetiche del Rossetti, dai pregiudizi d’un’arte soggetta a valori etici ed edonistici fino alla concezione dell’estetica come filosofia dell’arte, attraverso l’esperienza kantiana sempre più intesa o intuita.

        Del  1950 è Pier Paolo Vergerio il vecchio. L'intuizione della vita nel filosofo e  pedagogista  capodistriano  (in  «Pagine istriane»  III 5., I, 1950, 4,  pp.  43-56;    poi ristampato in «Studi vergeriani», numero unico della sezione di Trieste del Centro pedagogico della Regione Friuli Venezia Giulia, aprile 1971, pp. 9-20), compendioso saggio di storia del pensiero, nel quale l’A. fra l’altro ritrova nel filo- sofo — che aveva profondamente studiato per la tesi di laurea — l’intuizione di caratteri che formavano anche la sua coscienza filosofica e pedagogica: la vita non come mero fatto fisico, ma come attività e libertà — libertà nel dovere — per cui l’uomo si fa libero accrescendo il proprio spirito, col sapere e con la conoscenza della realtà nella quale vive, senza contrapposizione di uomo e mondo ma essendo l’uomo il suo mondo; e, quindi, anche l’educazione autonoma e libera, svolgimento dello spirito.

        Quasi un richiamo a riconsiderare la nostra storia più recente sono le pagine dedicate agli  Atti, meriti, sacrifici della  «Guardia civica»  di Trieste, 1943-1945 (in  «La porta orientale»,  A.  XXII,  9/10, sett.-ott. 1952,  pp.  292-305),  indagine su

 

 

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un particolare aspetto dell’azione delle autorità comunali triestine in un delicatis- simo momento della vita della città.

        Poi ancora due collaborazioni al volumetto «Per conoscere Trieste» pubblicato a cura della Società di Minerva (Trieste, 1955): Le scienze morali a Trieste, rapido e succoso panorama della cultura locale e dei suoi rappresentanti, e L’educazione fisica a Trieste, smossi dell’associazionismo sportivo nella città.

        Ricordiamo infine scritti che forse impropriamente possono considerarsi d’oc-casione, perché l’A. sempre vi s’impegna con il cuore e con il pensiero. Alcune recensioni: Thomas Carlyle  di  Laura  Fermi  ( Messina, 1939 )  in Geopolitica  (A. I,  7/8,  luglio-ago. 1939,  p. 462 ), e ancora  in Geopolitica ( A. II, 4, aprile 1940,  pp. 181-184),  Platone e la geografia, su  «La politica di Platone» (Padova, 1940) di Marino Gentile, in cui può tornare a precisare sinteticamente il proprio concetto di «geopolitica». Su Marino Gentile ritornò con Una sintesi filosofica della cultura giuliana (in  «La porta orientale»,  A.  XIX,  1949,  pp. 28-32), dedicata ad un saggio, «L’esperienza di Giuliano» —- pubblicato in appendice a «Filosofia e uma-nesimo» (Brescia, 1947) nel quale sottolinea l’importanza dell’irredentismo giu- liano come possibilità di «vivere in una concreta esperienza italiana il pensiero stra-niero», e il travaglio dei giuliani di conquistare — e non di possedere per lunga tradizione —- la spiritualità latina.

        E  alcune  commemorazioni: Annibale Pesante ( in  «Pagine istriane»,  III  S., III, 1957, 10 ‘11, pp. 46-49 ), commossa rievocazione del dotto insegnante di lin- gua e letteratura francese, dal 1945 docente all’Università di Trieste di filologia romanza. Edgardo Rascovich e l’irredentismo triestino (in «Rivista mensile della città di Trieste», NS. A. X 11/12 nov.-dic. 1959,  pp. 17-21 ), ricostruzione con- dotta su lettere superstiti dell’attività garibaldina dell’uomo politico e «demo- cratico» triestino. Morello Torrespini. Il poeta di Trieste redenta (in (<Rivista men- sile della città di Trieste», NS. A. XIII, 8-10, ago.-ott. 1962, pp. 9-14 ), in cui presenta Mario Todeschini uomo, studioso di problemi dell’educazione e, soprat-tutto, poeta. Francesco de’ Grisogono, scienziato e filosofo, a cinquant’anni dalla sua scomparsa (in «La porta orientale», N.S. A. VII, 1971, pp. 141-148), ove, ani-mandola con ricordi personali, delinea la figura del «precorritore di scienze e di scoperte scientifiche oggi attuali»  e  del pensatore, fondamentalmente kantiano, ma in un certo senso forse anche precursore di Giovanni Gentile, che conobbe personalmente.

        In ultimo, per completare quello che abbiamo saputo raccogliere, una Lettera aperta  all’egregio dott. Iks,  giornalista  ( in «Pagine istriane»,  IV  5., XIII, 1964, 11, pp. 256-261), esame cronologico e traduzione del c.d. Privilegio eufrasiano, edito a Parenzo dal Benussi.

        Ben più profondamente sarebbe da trovare in lui lo storico del pensiero e dell’azione —- mai disgiunto dal filosofo, o come scherzosamente egli si definiva dal «filosofante», e dall’appassionato italiano —- oltre che nel pubblicato —- e ci sarà anche quello che noi non abbiamo rinvenuto — in ciò che d’inedito si trova ancora nei suoi piuttosto disordinati scritti, in uelli ch’egli non aveva eliminato,

 

 

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e che possono fornire non solo maggiori lumi sull’autore, ma pure preziose notizie e valutazioni sugli argomenti trattati.

        Il ripercorrere il suo passato di uomo e di studioso, senza alcuna intenzione di ricostruzione documentata o di giudizio critico, ricorrendo anche alla personale conoscenza di chi scrive — che l’ebbe per amato insegnante nel triennio di liceo e per amico carissimo ed esperto negli anni dell’università e della vita — e a cari colloqui con la sua gentilissima moglie, non vuoi però essere elencazione di fatti, ma interpretazione d’una vita.

        Edo Funajoli fu, e volle essere, soprattutto educatore, e dell’arte e della tecnica dell’educazione percorse tutto il cursus honorum: dalle elementari, agli avvia- menti, ai licei, fino alle soglie dell’università, con una ricchezza d’esperienze, con un interesse di studi e con un amore per la sua missione che lo fecero degno portatore di quello che fu il suo primo titolo e forse quello che prediligeva: maestro.

        Fu — né mai rinnegò se stesso e tanto meno, nel ricordarlo, dobbiamo temere noi di rinnegarlo — irredentista, nazionalista, monarchico, anche fascista; ma come egli intendesse quell’esperienza politica, con il suo animo d’irredentista e con le sue concezioni idealiste, già l’abbiamo visto;  e  chi scrive lo ricorda sui banchi della scuola, in pieno periodo di guerra, affermare, e con i fatti e con l’insegna- mento più che con l’enunciazione,  che il suo compito in aula era non dare solu-zioni ma mettere  «pulci nell’orecchio»:  e di  «pulci»  pruniginose e pinzanti,  cioè di  problemi e non di  dommi, d’incitamenti al superamento autonomo dell’osta- colo, riempiva le orecchie e la mente di chi voleva ascoltarlo; e nutriva l’abitudine alla critica e al libero pensiero e, quindi, ad una aperta comprensione, fornendone gli strumenti coi metodo socratico dell’interrogazione guidata e con l’esempio di lezioni  ex cathedra d’una lucidità d’analisi e d’una chiarezza di sintesi rare.  Con tre o quatrr’anni d’esilio per irredentismo, mai si dichiarò «perseguitato», e sti-molava i suoi studenti a vedere negli Asburgo e nell’Austria la funzione storica che avevano esercitato, al di fuori da ogni plateale e retorica denigrazione.

        E fu educatore pure nella comprensione e nell’accettazione delle debolezze umane, di quelle degli altri, anche —  e perché no? umanamente — attraverso le sue, purché non degenerassero in danno morale, in licenza o in tirannide, perché anche se l’uomo è «essenzialmente libero ...  la sua libertà è libertà di tendere ad un fine supremo: quello di accrescere e potenziare la propria umanità, la qualità umana in universale»,  quella per cui, gentilianamente, vedeva lo Spirito realizzarsi come autoctisi.

                                                                            MARIO STANISCI

 

 

 

 

 

In     Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria,

     N.S. voi. XXIX-XXX (LXXXI-LXXXII della raccolta), Trieste 1981— 1982.